La prima cosa che si sente mettendo zampa ad Haida Gwaii è il fruscio del vento. È un vento freddo che ti sferza il muso e ti avvolge in un abbraccio di benvenuto, allo stesso tempo mettendo subito ben in chiaro chi è che comanda. Niente smancerie, la natura esige rispetto e raramente perdona: in questo senso parlo di selvaggia poesia.
Haida Gwaii, che letteralmente significa “isole del popolo Haida“, è un arcipelago di isole nell’oceano Pacifico, a nord-ovest della British Columbia, in Canada. In precedenza conosciuto come l’arcipelago della regina Carlotta (obliterare la cultura indigena è il più grande passatempo del colonialismo, dopotutto), l’arcipelago è il cuore pulsante del popolo Haida, dove circa la metà della popolazione è ancora indigena.
Arrivo ad Haida Gwaii
Ad Haida Gwaii io e l’umana siamo arrivate in traghetto, a Skidegate su Graham Island, giusto in tempo per vedere l’alba fare capolino dietro gli alberi. Da lì, un traghetto più piccolo ci ha portate sull’altra isola, Moresby Island, dove abbiamo camminato per 10 lunghi chilometri sul ciglio della strada fino a Sandspit. Quando tra il porticciolo e il villaggio non c’è nulla di abitato in mezzo, riesci a predire con esattezza in quale ventaglio di minuti di ciascuna ora passeranno le macchine, e nel resto del tempo puoi passeggiare in equilibrio sulla linea gialla in mezzo all'”autostrada”, preoccupandoti al massimo dell’apparizione di qualche orso o cervo. Oppure, puoi infilarti in qualche sentiero tra gli alberi e spuntare sulla spiaggia deserta ad ammirare il paesaggio.


Sandspit
Sandspit è una delle “metropoli” dell’arcipelago e l’unico centro abitato su Moresby Island. Vanta un piccolo supermercato, una scuola elementare, una chiesetta che sembra un giocattolo, una biblioteca polverosa che non apre mai, e una lingua di terra all’estremità che funge da aeroporto per l’unico volo giornaliero che atterra alle 14 e riparte alle 15 per Vancouver. Sandspit, “sputo di sabbia“, è un microcosmo dove puoi sederti a sonnecchiare al sole o ad ascoltare la pioggia in assoluto silenzio, indisturbatə. Mi piacciono i posti così, perché riesci a sentire i tuoi pensieri.
Un giro a Graham Island
Graham Island è l’isola principale dell’arcipelago, dove si srotola la pergamena della vita sociale lungo l’asse longitudinale tra Queen Charlotte e Old Massett.
Massett e Old Massett
L’estremità nord dell’isola.
Una serie di villette a schiera in condizioni più o meno decadenti punteggiano la strada, con quadrati di giardino pieni di cianfrusaglie, da tricicli rotti a water.
Svoltando a destra quasi alla fine del viale, c’è la galleria di Sarah, in una tradizionale longhouse Haida in legno dipinto e leggermente sbiadito. Sarah è seduta sulle scale scricchiolanti a godersi i raggi tiepidi del sole e, quando arriva qualcuno, si alza, senza affanno, per salutare, si sistema la camicia color corallo e ti fa entrare.
La galleria, aperta nel 1990 per ospitare i lavori di suo marito, è un labirinto di artefatti, libri, souvenir di ogni colore e dimensione, senza un ordine apparente, dove ogni mensola nasconde una sorpresa, un motivo di meraviglia. Sarah conosce personalmente la storia e l’artista Haida dietro ogni pezzo unico esposto e si muove nel suo piccolo regno con l’agilità lenta e ponderata dell’esperienza e della reverenza. Sa che l’arte ancestrale è molto più che un prezzo su un etichetta, ma ha imparato a non giudicare i suoi clienti e si limita a osservarli in silenzio da dietro gli occhiali e con un aneddoto sulla punta della lingua.
All’imboccatura del villaggio c’è un negozio di noleggio biciclette, kayak e tavole da surf, aperto solo in orari e giornate casuali, a seconda di come si svegliano i proprietari la mattina. Pensavamo di lasciare i bagagli per qualche ora e noleggiare una bici, invece ci accoglie la ragazza dello studio yoga del piano di sopra, offrendoci un posto per depositare gli zaini mentre facciamo un giro per il villaggio. Con un sorriso timido, ma come se fosse la cosa più naturale del mondo.
La spiaggia è brumosa, foriera forse di tempesta o di ricordi di vite passate… Perché siamo qui? La vita cambia veloce sull’isola, mutevole come la direzione del vento, ma la memoria non dimentica. In lontananza si vede Tow Hill, dove i bambini vanno a raccogliere le conchiglie. I bambini non vedono ancora differenze, vedono solo il mare e le conchiglie.




Port Clements
A Port Clements c’è un molo dove si vede sempre l’arcobaleno e una casetta per gli uccelli perforata da un picchio. Una volta c’era anche la casa di Alan, dal cui giardino si poteva scorgere un tramonto bellissimo, anche quando le nubi erano cariche di pioggia.
Alan era un viaggiatore, aveva un lungo cespuglio di rasta intrecciati, si svegliava tardi la mattina e gli piaceva andare in kayak. La sua casa, con un’amaca arancione appesa in salotto e una bandiera pirata al bancone del finto bar, era l’unico ostello di Haida Gwaii e per di lì passavano storie. All’umana piaceva appallottolarsi sulla poltrona nell’angolo a leggere il dizionario della lingua Haida, nel tentativo di decifrare una cultura che non riuscirà comunque mai a capire davvero.
Il papà di Alan era l’ex-sindaco di Port Clements e il proprietario dell’unico mini-supermercato del villaggio. Portava la gente nella foresta a scoprire alberi millenari e canoe ricoperte di muschio, un cantastorie dei giorni nostri con gli occhiali spessi e la polo rossa. Con lui siamo state a vedere l’abete dorato, un albero sacro per gli Haida per via del suo colore eccezionale, abbattuto da un boscaiolo nel 1997 per protesta contro le imprese di legname arrivate a monopolizzare il territorio. L’albero è ancora lì, un cadavere sdraiato lungo la riva del fiume che luccica al sole.
L’ostello di Alan ora non c’è più e lui è diventato un’ombra nella nostra memoria. Mi piace pensare che stia facendo il giro del mondo nel suo kayak, i capelli al vento e il sorriso sporco di salsedine. O forse si è semplicemente spostato in città alla ricerca di certezze nella banalità del mondo moderno.
Tlell
L’attrazione di Tlell è una tradizionale casa Haida, ora del tutto ristrutturata per ospitare vari bungalow e un ristorante elegante dove l’élite vancouverita in vacanza arriva a mangiare cucina fusion che di Haida forse ha ben poco. Io di Tlell ricordo il mercato della domenica vicino alla stazione dei pompieri, adibito anche a campetto da calcio per i bambini. A ognuno l’esperienza che preferisce (o che si merita?).
Nei pressi di Tlell abbiamo imboccato il Pesuta Shipwreck Trail, un sentiero di 10 km in mezzo alla foresta del Naikoon Provincial Park, che sbuca sulla spiaggia dove il fiume arriva ad abbracciare il mare e dove si trova anche il relitto in legno umidiccio di una chiatta che trasportava legname e si è ritrovata sbattuta su queste coste nel 1928.
Chissà se, mentre navigava baldanzosa per il Pacifico, ha mai immaginato che sarebbe diventata un giorno la giacca a vento di uccelli e altri animali… Ora con l’alta marea l’acqua le sale alle caviglie e le aquile la usano come poggiapiedi. L’umana l’ha usata come territorio da picnic, prima di rimettersi difficoltosamente in marcia controvento, sotto lo sguardo degli accampamenti dall’altra parte del fiume.
In queste terre, quando sei una tartaruga che porta a spasso un’umana, nessuno ti parla ma tuttə sanno chi sei.


Skidegate
Sulla spiaggia poco prima di arrivare a Skidegate, c’è una roccia gigante in equilibrio su una sola punta, manifesto di chi crede a sei cose impossibili prima di colazione. Poco più in giù c’è un caffè – anche questo con orari aleatori – e una panchina per contemplare l’oceano, le balene e il passaggio del tempo.
All’entrata del villaggio sulla destra c’è una foresta incantata con al centro Spirit Lake, una sorta di Narnia uggiosa dove la nebbia ti gratta la testa, le punte degli alberi rimangono innevate, il lago è parzialmente ghiacciato e gli unici suoni sono i contrappunti della foresta con le goccioline d’acqua che rotolano lungo gli aghi verdi e le chiome frondose.


Haida Heritage Centre
L’Haida Heritage Centre è un filo del tempo che fa lo slalom tra totem intagliati, lambito dalle acque calme di un’insenatura dell’oceano, e inondato dalla luce bianca che filtra da immense pareti di vetro.
Qui è custodito il passato della cultura Haida, dal mito della creazione all’orrore delle scuole residenziali, il presente, dalla denuncia nei confronti del governo agli sforzi per combattere la crisi climatica ed ecologica, al futuro, con progetti di conservazione e di sviluppo sostenibile – tipo l’uso di campi di alghe artificiali per generare elettricità. Le tre dimensioni si intrecciano, in previsioni scientifiche ricamate su tessuti, storie di morte rappresentate su dipinti in bianco e nero, simboli intagliati nel legno. I clan, le discendenze, le lingue, i costumi, le guerre, le pestilenze, la biodiversità, la cosmogonia, la lotta per i diritti e la conservazione dell’ambiente sono i versi della poesia della sopravvivenza degli Haida. Una poesia che, come quella degli altri popoli indigeni, nativi e delle Prime Nazioni, dovrebbe farci riflettere.


Gwaii Hanaas
Gwaii Hanaas è una riserva naturale protetta per cui gli Haida hanno combattuto con le unghie e con i denti per decenni. La costellazione di isole a sud di Moresby Island oggigiorno è raggiungibile solo in barca o kayak in specifici periodi dell’anno in cui il vento non è troppo forte. Lì esistono ancora villaggi Haida egregiamente preservati, sorvegliati dai WatchMen in estate, depositari dell’eredità dei loro antenati. Noi abbiamo visitato Tanu’u e l’esperienza merita un resoconto a sé. Se l’umana fosse più ricca e più abile con il kayak, organizzeremmo una spedizione di una settimana tra gli stretti e le insenature di questa terra mistica, ma sarà per un’altra volta.
Queen Charlotte
Queen Charlotte è la grande capitale di Haida Gwaii: c’è l’ospedale, l’ufficio postale, una biblioteca funzionante, l’ufficio turistico, una varietà di ristoranti, un supermercato e persino un negozio di alcolici! A Queen Charlotte siamo rimaste più del dovuto una volta, osservando le gocce – prime ballerine della tempesta – scatenarsi fuori dalla finestra della nostra cameretta d’hotel dove la proprietaria ogni tanto veniva a portarci il tè.
C’era anche un caffè una volta, con tavolini bassi e un bancone per anime solitarie e contemplative che dava sul porticciolo. Ci sedevamo lì, da creature sociofobiche quali siamo, a leggere il giornale del posto attraverso le immagini, come i bambini che seguono con il dito zampe di formica sulla pagina inventando storie con la convinzione di chi ha il superpotere dell’immaginazione incondizionata. Un muffin alla banana e un tè verde con la schiumetta di latte per leccarsi i baffi, un raggio di sole tenue tra le nuvole, e ogni ritardo non importava più.
Ora neanche quel caffè esiste più, rimane solo l’insegna sbiadita di Queen B’s e il ricordo dell’effimero.
Probabilmente di questi pezzi di mosaico non si è capito nulla e Haida Gwaii rimane ancora un mondo nebuloso nella tua mente…
Perché le isole sono così, scompaiono tra la nebbia e, quando ti volti, rimane solo il dubbio che fosse tutto un sogno.
[Per info coerenti su Haida Gwaii, leggi anche: COMING SOON]
