Sapzurro conta più barche che case, e una chiesa dipinta di un blu brillante, forse nel tentativo di omologarsi al colore del cielo o dell’oceano che la circondano. Di fatto, è un villaggio costruito su un’unica riga in riva al mare, l’unico spazio che la foresta tropicale sullo sfondo ha concesso alla hybris umana in questo angolino di mondo. A parte la spiaggia e quella schiera di edifici sgangherati messi lì un po’ per sbaglio, a Sapzurro non c’è nulla, neanche l’ufficio immigrazione, nonostante sia terra di frontiera tra Panama e Colombia.
Sono ingiusta, non è vero che non c’è nulla: c’è il mare. E, a volte, il mare è tutto ciò che serve. In mezzo al mare, io e l’umana ci abbiamo trascorso gli ultimi tre giorni, passando da un’isoletta semi-deserta alla successiva, a bordo di una piccola barca a motore verniciata grossolanamente di rosso che di nome faceva Alcatraz 3. L’arcipelago panamense di San Blas, sotto la giurisdizione della comarca indigena di Kuna Yala, è la migliore via possibile (e quasi l’unica) per passare illesə da Panama alla Colombia senza prendere un aereo.
Geografia portami via
Potrebbe sembrare illogico guardando una mappa, visto che i due paesi sono chiaramente confinanti. In mezzo, però, c’è il cosiddetto Tapón del Darién, una selva impenetrabile e selvaggia che divide a metà l’autostrada panamericana (che proseguiva ininterrotta dall’Alaska!), e che si è guadagnata nel tempo la nomea di foresta più pericolosa del mondo. Polmone verde dalla biodiversità ricchissima (da serpenti letali a giaguari probabilmente altrettanto letali per l’umanità) e baluardo contro il cambiamento climatico nella zona, il Darién è un corridoio umido utilizzato soprattutto da narcotrafficanti e rifugiati politici che cercano disperatamente di arrivare in America del nord.
Normalmente l’umana è piuttosto sconsiderata e imprudente, ma intraprendere una traversata del genere per diletto, oltre ad alzare la sua probabilità di morte al 100%, sarebbe stato irrispettoso, incosciente e di fatto completamente fuori luogo. Morale della favola, abbiamo optato per la via sicura. Il viaggio si fa per mare con partenza dal porto di Cartí, a circa 2-3 ore di veicolo motorizzato da Città di Panama, e arrivo a Sapzurro (Colombia) se si opta per il passaggio in barca a motore o a Cartagena (Colombia) se si sceglie la barca a vela. [Ma ne parleremo nel dettaglio in altri post]
Dopo il comico controllo di uscita da Panama, effettuato su un tavolo sotto a un gazebo all’aperto e in mezzo a galline che scorrazzavano pacifiche qua e là, durante il quale il doganiere, sicuramente annoiato a morte, ha prolungato al massimo il momento di interazione umana facendo tirare fuori a tuttə ogni singolo oggetto da ogni singola borsa, arriviamo quindi al molo della ridente Sapzurro.
Il glorioso sbarco
Accolte come una regina Elisabetta portatrice di soldoni e la sua adorabile tartaruga, non facciamo in tempo neanche a scendere dalla barca che un altro signore ci urla bonariamente contro che “lì non c’è niente, che per passare l’immigrazione dobbiamo andare a Capurganá“ e che, guarda il barbino caso fortuito, lui ha giustappunto una barca per portarci là alla modica cifra di 5 dollari (spoiler alert: per 15 minuti di tragitto è una cifra esorbitante). Io avrei felicemente nuotato, ma la mia mamma mi ha insegnato che non si abbandonano per strada le creature umane in difficoltà. La nuova formazione quindi prevede: il gentiluomo urlatore, la mia umana con i suoi bagagli, il nostro amico Max con la sua bicicletta, e una signora gringa che ha allegramente abbandonato suo marito a casa negli Stati Uniti e sta viaggiando senza soldi affidandosi solo alla carità della gente, al buon cuore di Gesù e alla sua infaticabile logorrea. Mai 15 minuti furono più densi di parole.
Capurganá, con un reticolato di almeno quattro strade sterrate e un campo da calcio in terra e ghiaia, sembra una metropoli in confronto ai paradisi deserti degli ultimi giorni. L’ufficio immigrazione è un edificio anonimo non segnalato in alcun modo, dove i doganieri passano le giornate a bere caffè, ciarlare come comari dal parrucchiere, e sfruttare i benefici dell’aria condizionata. Ci accolgono in pompa magna, timbrano i passaporti senza troppe domande e voilà! Siamo ufficialmente in Colombia, stanchine, discretamente puzzolenti, senza un singolo peso colombiano né possibilità di ritirare soldi per assenza di bancomat, senza carica del telefono e senza un posto dove dormire. La vita è bella 🙂
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